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Nell’arco della vita numerose sono le sollecitazioni a migliorare le proprie prestazioni. Sin dalla nascita, proprio a livello Ogni attività, ogni compito o mansione e persino ogni hobby possono essere svolti con diversi gradi di cura.

Se dicessimo che alcuni individui si “accontentano” di risultati mediocri: commetteremo un errore di concetto. Incorreremo nel fornire interpretazione personale dei risultati raggiunti dalle altre persone. L’accontentarsi come una caratteristica negativa, mentre magari per quella persona quel risultato non è mediocre. Nel linguaggio comune, tuttavia questa è un’espressione usata frequentemente.

A livello culturale, il perfezionismo è un mito e i social media ne danno una rappresentazione tangibile. Se riflettiamo su quanto siamo esposti ad esempio a pubblicità per la silhouette perfetta, per il raggiungimento di performance sportive, lavorative o accademiche perfette. Pensiamo al fenomeno del ritocco delle foto, che elimina ogni imperfezione; con i filtri fanno luccicare le nostre parti umanamente “opache” nel tentativo di diventare corpi statuari degni di copertina e robot instancabili e infallibili.

A livello sociale e relazionale ne risentiamo ugualmente. Pensiamo alle competizioni tra gli adolescenti, si a livello scolastico che nelle relazioni sociali extrascolastiche. Oppure la competitività esasperata negli ambienti di lavoro o fra aziende del medesimo settore. Si può vedere una totale esigenza ad essere perfetti, anzi più perfetti degli altri. Per essere i migliori i numeri 1.

Nell’ambiente familiare, sono esempi, la rigidità nel controllo educativo , le critiche e le aspettative irrealistiche, ma anche l’eccessiva protezione verso i propri figli. La mancata gratificazione di un successo e la colpevolizzazione degli errori, potrebbe indurre i nostri figli ad innalzare i livelli dei propri standard fintanto che se non sono perfetti possono avere emozioni e vissuti negativi.

Ci sono delle soluzioni a questo? Un primo passo lo potremmo fare, essendo più “compassionevoli” al cospetto di un errore, una delusione e cercare di imparare proprio da questi ultimi, valorizzare noi stessi ed i nostri figli, e le persone che ci circondano, al di là delle performance, della posizione raggiunta o dell’apparenza, ma guardare all’essenza dei medesimi.


La mancata resa alle pressioni sociali esercitate attualmente, ad esempio dei social media, potrebbe essere contrastata concentrandosi su ciò che realmente ci rende umani: la nostra unicità, la nostra vulnerabilità, le nostre particolarità e le nostre difficoltà, ma anche i nostri piccoli difetti